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I ventenni sono più vaccinati dei cinquantenni. Un motivo in più per smettere di puntargli il dito addosso e per far ripartire il mondo di concerti, club e discoteche.

Ci hanno detto che “i giovani” sono gli untori. Che sono gli irresponsabili. Che loro e la loro movida – sorvoliamo sul termine – sono il principale motivo per cui non siamo ancora riusciti a mettere alla porta l’ospite indesiderato che sta a casa nostra da un paio d’anni. Ce l’hanno detto, quelli che giovani non sono o non si sentono, perché quando c’è un problema serve un capro espiatorio.

E poi ci sono i dati, che ci dicono tutt’altro. Lo riportava Francesco Costa nella puntata di “Morning” di mercoledì scorso e lo si può facilmente verificare online: la fascia dei ventenni (20-29) si è vaccinata di più dei cinquantenni, ma anche dei quarantenni, ma anche dei trentenni. Bisogna andare ai sessantenni – che rischiano enormemente più di loro – per trovare una fascia d’età che si è vaccinata più (e solo poco più) dei ventenni.

Insomma, se in questo momento prendiamo – e non sbagliamo a farlo – l’essere o meno vaccinati come metro di responsabilità individuale, alla fine dei conti “i giovani” stanno facendo ampiamente la propria parte. Così come hanno ampiamente rispettato una serie di limitazioni che hanno messo in pausa le loro vite e una marea di esperienze che avrebbero potuto arricchirle. Tutto questo senza far poi tanto rumore, seppur col dito sempre puntato addosso. Eppure, poco o nulla è cambiato. Gli è stato chiesto, ma non gli è stato dato.

Ed è così, ad esempio, che comprare il biglietto di un concerto è diventato un atto di fede, perché non sai se né quando si farà. Passano i mesi, ma a cambiare sono solo le date sui cartelloni dei tour, spostate sempre un po’ più in là. Ma quanto “più in là” possiamo andare? Un mondo intero – quello della musica dal vivo, dei club e delle discoteche – la cui fetta principale di pubblico è anche quella mediamente più vaccinata, vive non solo nell’incertezza più totale ma anche e soprattutto nell’indifferenza da parte di chi fa le scelte. Perché, si sa, ci sono sempre altre priorità. Con buona pace di chi da questo mondo dipende per tirare avanti. E con buona pace di chi lo frequenta, quei presunti untori che, a ben vedere, sono l’ultimo dei nostri problemi.

Ma noi siamo qui e continuiamo a sperare, col biglietto in mano. Nell’attesa di mostrarlo finalmente all’ingresso e tornare in pista o sotto al palco, a cantare e ballare. Com’è normale e giusto che sia.