Skip to main content

Spotify e visualizzazioni: La rivoluzione digitale

È stato certamente un anno strano per la musica italiana, quello appena passato. A dodici mesi di distanza dal precedente magazine di Lumen ci troviamo di fronte una situazione cambiata radicalmente: un’esplosione di nomi e di band in grado di spazzare via tutto ciò che era noto e riconosciuto fino a poco tempo prima.

Questa è la forza di Internet. Questa è la forza di una playlist di Spotify, in grado di portare al successo artisti in un lampo, dai micro concerti dal cartellone sconosciuto alle visualizzazioni a sei cifre, gli articoli e i palchi importanti.

L’iter è simile per quasi tutti e molto lineare: una o due uscite su Youtube, un video virale che fa breccia e diventa moda, qualche ascolto importante ed ecco che si entra a far parte delle playlist più ascoltate di Spotify. A quel punto si è accesa la luce, si iniziano ad avere contatti sulle radio con programmazioni più innovative, per poi continuare in quelle commerciali o su qualche programma TV dal pubblico giovane, come può essere ad esempio EPPC di Cattelan su SkyUno.

Artisti spesso divertenti e piacevoli, in grado di imporsi con una potenza disarmante sulla scena storica nazionale, mettendo in ombra tutto il resto. Un vortice di hype che li eleva al titolo di “artisti famosi”: e così nomi quali Sfera Ebbasta o Ghali raccolgono un magazzino di dischi d’oro in pochi mesi, Lo Stato Sociale passa dai circoli Arci al secondo posto a Sanremo, Calcutta dà appuntamento ai suoi fan per due date negli stadi…

Anche dal punto di vista tecnico le produzioni musicali si fanno più semplici e immediate, magnificamente coinvolgenti e inclusive, costruite su misura per un pubblico che ha voglia di cantare ed emozionarsi, sentendosi parte di un grande appuntamento, circondato da chi intona in coro la stessa canzone a squarciagola. Cosa c’è poi di più bello e coinvolgente?

Naturale, quindi, che i concerti seguano questa tendenza, ed è affascinante seguire questo passaggio dopo tanti anni di format e di party, spesso resi più tamarri e ignoranti (come se “ignorante” fosse un aggettivo positivo) possibile.

Sono tornate le band, sono tornati i musicisti a farla da padrone nei palcoscenici. Ora non resta che stare a vedere cosa riserverà il futuro per questi nomi, già grandi dopo meno di 12 mesi.

Intanto segniamoci le partecipazioni dei grandi marchi di moda, gli eventi griffati, i grandi sponsor a firmare le produzioni musicali, sempre più orientati e sbilanciati a misurarsi sulla condivisione online e attenti all’immagine percepita (leggi LIBERATO, gran progetto che spesso interessa più per i sui misteri che per la musica).

Torneremo un giorno ad andare ai concerti senza lo smartphone pronto a catturare contenuti per le nostre stories?

Tornerà l’udito come principale senso da utilizzare per valutare il valore di un brano?

Ci interroghiamo e stiamo a guardare, la musica è il motore delle nostre vite e per molti un argomento troppo importante da esser sottovalutato e solamente inserito come riempitivo di un festival.

Matteo Graser